Che cosa è la politica?

 di Gloria Capuano - 18/12/2011


Questo è l’interrogativo di un parlamentare in uno dei diversi talk-shows dove si agitava il grave problema – così si sente sempre dire con toni allarmati – dell’antipolitica. Protagonisti almeno di superficie i giovani, gli indignati, i contestatori tranquilli e quelli che tranquilli davvero non sono (vedasi i soliti innocenti cassonetti sfasciati, macchine bruciate, vetri infranti, tutti oggetti il cui costo ricade su i loro stessi genitori, uno sciocco sciupio di denaro che poi vai a vedere è quello che questi giovani soprattutto agognano), non è esatto, non tutti i giovani, molti però mi sembra di sì, smaniosi di poter comprare l’ultima trovata pubblicitaria sopratutto tecnologica e, così loro credono, di immagine.

Il deputato ha introdotto l’argomento come premessa per spiegare l’assurda pericolosità della disaffezione politica. “Intanto stabiliamo che cosa è la politica”, così ha esordito, poi non so fino a quale punto abbia svolto il tema, dopo poche battute non l’ho più seguito perché - forse sbagliando - quel che andava dicendo mi sembrava del tutto inadeguato a spiegare la stringente necessità della politica e della sua antica dignità. Continuando forse a sbagliare ho scelto di svolgere per conto mio il tema ritenendo la mia intelligenza del tutto conforme a quella di chiunque altro, deputati compresi. Anche qui forse sbagliando perché loro, i deputati, la politica la vivono come creta che modellano con le loro mani, mentre gli altri, i cittadini - quindi me compresa – siamo la creta che essi lavorano. Noi, votando, diamo il diritto ad altri di modellarci come fossimo creta, in questo, solo in questo sta la nostra tanto strombazzata sovranità.

Da come parlo sembra che io faccia parte degli indignati, mi preme quindi di chiarire che non è così e per chiarirlo anche io mi affido a una premessa, questa: la politica non è, la politica deriva o si adegua ma soprattutto è in continua metamorfosi, anche se protesa sempre a compiacere dunque a modellarsi ma apparentemente sulle richieste popolari o a schiacciarle con la violenza ora fisica ora culturale. Il tutto anche se a volte o sempre, sembra essere statica, cosa che sotto un certo profilo, un mastodontico profilo, risponde alla realtà.

Lo è statica perché i mali di cui soffre l’umanità continuano ad essere sempre gli stessi, nonostante la grande messe di apporto non solo teorico politico. E cioè la fame che patisce gran parte degli esseri umani, la condizione di “schiavitù” dei più deboli (donne, bambini e anziani, più gli handicappati), la necessità delle nazioni di difendersi, quindi di armarsi, l’insoluto sottaciuto dibattito sul se un’etica che non sia di facciata si addice alla politica o le è estranea fino ad esserle nemica.E qui entra nell’analisi in pompa magna la religione, unico antidoto alla disperazione di esistere di ogni essere vivente che si sa condannato a morte solo nascendo, se non crede nell’aldilà.

Antidoto purtroppo dall’alto costo, visto le guerre di religione che infestano la storia del mondo.

A me sembra rispondere al vero che la politica oggi sia del tutto superata, e lo è perché pervicacemente abbarbicata a vecchi schemi, e cioè alla necessità di allevare aspiranti politici già in partenza secondo appartenenze ideologiche, pur essendo consapevole del declino definitivo delle ideologie. Quel che in realtà si è trasformato sono i soggetti di cui la politica si occupava e cioè l’invasione di campo dei derivati tecnologici, la velocizzazione dell’informazione, il conflitto tra il progresso scientifico e l’etica come superiore esigenza laica dell’evoluzione umana. Tutto questo è dimostrato abbondantemente dalla cosiddetta trasversalità che in Parlamento si manifestata frequentemente - anche se sottovalutata forse in essenza di alternative - perché gli ambiti dibattuti investono problemi di coscienza e la coscienza è qualcosa di squisitamente individuale …anche se la politica ha sempre mirato a formare una coscienza collettiva. Io stessa mi sentirei in grande imbarazzo nel dover appoggiare in tutto uno schieramento, mentre mi sarebbe agevole e confortante sostenere od osteggiare ora l’uno ora l’altro non per questioni di appartenenze ma per condivisione o non condivisione d’ogni singola problematica. Da ciò si deduce che oggi a fare da battistrada protagonista è l’agenda e l’ordine delle molte sollecitazioni politiche interne ed esterne al Paese. Ma chi e come le raccoglie e ne scandisce la giusta sequenza temporale?

Non mi sfugge che il mio argomentare mi pare ricadere probabilmente nella politica tradizionale con tutti i suoi collaudati rituali che formano il tecnicismo del funzionamento di un contesto democratico. Ma lo considero inevitabile e non una ricaduta in quanto saggia misura da sottoscrivere non ritenendo possibile creare alcunché da unatabula rasa. Quel che occorre è lavorare sulle vecchie esperienze arricchendole e aprendole a ben diverse e nuove visioni d’indole politica. Insomma utilizzare il passato senza rimanerne imbrigliati e crescere in consapevolezza. Ritorno dunque alle poche ma chiare considerazioni iniziali sul ”Che cosa è la politica”, ma aggiungo, tenterò di enumerarle in forma di interrogativi per rimarcare il vizio sterile d’essere tutti bravissimi nelle analisi critiche e del tutto muti quanto a effettivi rinnovamenti e progettualità:

1) perché non si riesce a debellare la fame nel mondo nonostante il cosiddetto progresso e il fiume di denaro speso per esso?

2) perché non si dà inizio nelle università nei corsi attinenti la politica a strategie finalizzate alla prevenzione delle guerre?

3) perché non si mette in cima alle priorità politiche l’esigenza irrinunciabile dell’Etica quale percorso e traguardo di un’evoluzione umana?

4) perché la società dell’uomo nelle sue diversità sembra coincidere nella soggiacenza culturale alla sua particolare condizione quale vertice della scala biologica e non come eccezione in grado di superare per l’appunto i crudeli condizionamenti biologici?

5) perché tutta la cultura politica quindi storica è narrazione di guerre raccontate ovunque con grande enfasi e non di ricerca sulla pace?

6) perché si accetta supinamente il termine Guerra come lemma fondamentale cui si riferisce tutta la cultura umana, mentre il termine Pace è secondario e riducibile a trattati di pace e a meri intervalli tra una guerra e l’altra?

7) perché non si lavora su un piano di grande priorità sul principale diritto umano quello della Pace nel mondo?

8)perché non si comprende a sufficienza che tutto quanto sopra non può essere reificato se

non è coltivato fin dalla scuola materna e mantenuto vivo dal mondo della Comunicazione in tutte le diverse civiltà ?

9) perché infine non si tiene costantemente presente che la politica non è in grado di promettere nulla se non riesce a conciliare l’emergenza con il futuro cioè con l’utopia?

10) perché non ci si sente fortemente consapevoli che un globalismo privo di un’etica dei diritti

umani si è rivelato un sistema di pirateria disumana priva di qualsiasi regola?

11) perché non ci si rende conto che l’umanità prosegue a scosse urtoni sanguinose zuffe reciproche sopraffazioni, come dadi impazziti in un contenitore, senza una bussola comune che ne indichi direzioni e finalità a dispetto di uno scialo di vanagloria?

Questi solo alcuni dei quesiti cui dovrebbero rispondere gli intenti degli attuali politici. Non credo che né gli atenei né i docenti dalla scuola materna fino alle lauree siano pronti a una trasformazione di questa fatta, essendo viceversa ancora chiusi nel sistema antagonistico pro o contro e non come onesta espressione estemporanea ma come obbedienza a schemi precostituiti.

Quindi, così dicendo penso d’essermi dichiarata contro i partiti. Sì, se come ho già detto precedentemente i partiti continuano ad essere brodi di coltura delle antinomie tradizionali, no, se i partiti scelgono ben diversi criteri di coesione e di confronto.

Per concludere nello spazio obbligato di un articolo mi limito a dire che chiunque voglia essere iniziato alla carriera politica, di un assioma deve essere sincero divulgatore, quello cioè che il legittimo concetto di difesa non debba di forza necessitare di una sempre maggiore deterrenza bellica. Questo è lo scoglio più ostico da superare e da qui dobbiamo ricominciare tutto da capo, ma come? Di certo non da soli, ma tutti insieme e contemporaneamente. Già ma in concreto come? Muovendo almeno i primi passi verso una speciale comunicazione che capillarmente in ogni parte del mondo induca a privilegiare i sentimenti e la solidarietà sulle ragioni e sulle passioni o fanatismi che dir si voglia, e non come aneliti volatili ma con realistici progetti. E’ tassativo però essere consapevoli che si tratta di una strada lunghissima quanto forse l’esistenza dell’umana società.

Io ci provo, con il mio Progetto di un Giornalismo di Pace.

18 dicembre 2011


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